In un’intervista di un anno fa circa, in occasione del lancio di “La vie des elfes” in Francia, Muriel Barbery, affermava che illuminante per il suo libro, è stata una frase de “Il libro del tè” di Kakuzo Okakura (noi ne abbiamo parlato qui!) nella quale parla con struggente nostalgia di come l’antico mondo cinese, che ha regalato all’arte nipponica i suoi più begli artefatti, si sia fatto “moderno, vecchio e disincantato“.
Ecco, Muriel Barbery nel suo libro tenta proprio di ritrovare questo incanto perduto, naturale e poetico allo stesso tempo, semplice e meraviglioso, avvicinando il mondo degli umani e il mondo degli elfi, nel quale la forza della natura e la meraviglia dell’arte e della musica, sono più che mai vive e sentite.
Una letteratura della terra, insomma, come lei stessa la definisce, quella terra che il mondo moderno sembra aver dimenticato.
Protagoniste del libro sono due bambine, un po’magiche.
Maria, arrivata in una notte di neve in uno sperduto villaggio della Borgogna, che passa la maggior parte del suo tempo libero sugli alberi, ascoltando i canti dei rami e delle foglie, e a correre per i boschi, parlando con gli animali. A vegliare su questa “bambina benedetta” tutti gli abitanti del villaggio, “gente di buona volontà” la cui vita semplice fatta di lavoro, di famiglia, di serate davanti al fuoco di un camino, di raccolti, di latte caldo, di neve, di bucato, di silenzi, di natura, ruota intorno a quella della piccola.
“Ma cosa si vede dentro la vita? Si vedono alberi, boschi, neve, forse un ponte, e paesaggi che passano senza che l’occhio riesca a trattenerli. Si vedono il duro lavoro e la brezza, le stagioni e le pene, e ognuno vede un quadro che appartiene solo al proprio cuore.”
Clara, abbandonata sullo scalino più alto della chiesa di un paesino fra le aspre montagne abruzzesi, che parla come se cantasse e suona il piano con “inesorabile perfezione” senza averlo mai studiato, fra “gente scolpita da vento e neve in spigoli di roccia dura e plasmata dalla poesia dei propri paesaggi, che porta i pastori a comporre rime nelle nebbie gelide degli alpeggi e le tempeste a partorire borghi sospesi dalla terra al cielo.”
Quando la vita delle due ragazzine si intreccerà, entreranno in contatto con il magico mondo degli elfi e sarà grazie all’unione dei loro destini e del mondo degli umani con il mondo del soprannaturale, che si riuscirà a salvare la terra da chi vuole annientarne la bellezza e l’armonia.
Questo il messaggio di speranza, il sogno di un mondo migliore di Muriel Barbery, racchiuso nel suo libro, del quale non rivelerò altro.
Un libro, secondo me, da leggere dimenticandoci per un po’della fretta, dei ritmi della nostra vita frenetica, ricordandoci invece della lentezza, della bellezza delle piccole cose, della natura meravigliosa che ci circonda. Come quando ci si ferma a guardare un paesaggio, un tramonto, si annusa un fiore o un frutto maturo o si sorseggia una tisana – magari al biancospino proprio come quella di Eugénie, “che fortifica l’anima e il cuore!”, dice.-
Come quando, da bambina, nelle calde giornate estive passate nella casa in campagna, mi sdraiavo sul marmo fresco dei quattro gradini della scala di fronte al portoncino, a guardare il cielo e le nuvole rincorrersi ora lente, ora più veloci. Così. Senza fretta, come se quelle nuvole fossero uno spettacolo irripetibile e imperdibile.
Lo spettacolo della natura, appunto.
Queste foto mi sono state scattate dalla mia amica fatina degli elfi Angela Sammarco, che naturalmente ringrazio, per la pazienza e per l’entusiasmo che mette in ogni cosa che fa!