Itaca.

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(Still life with painted sea view – Robin Stemp)

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dottiSempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Konstantinos Kavafis

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Edward Hopper a Roma.

Una domenica mattina di febbraio, a Roma. Nuvole grigie, strade bagnate, il volo basso dei gabbiani sui fori, il vento, le polo rosse dei tifosi gallesi per il 6 nazioni.

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La mia città  questa mattina sembrava essersi preparata per fargli da cornice, volutamente colorata di grigio a far da contrasto alla luce densa, maestosa presenza dei suoi quadri.

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(Self portrait, 1906)

Forse non sono troppo umano”, diceva di sé, “ ma il mio scopo è stato semplicemente quello di dipingere la luce del sole sulla parete di una casa”.

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(Second story sunlight, 1960)

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(South Carolina morning, 1955)

Edward Hopper dipinge stati d’animo. “Non dipingo quello che vedo, ma quello che provo.”

Se potessimo esprimerlo a parole, non ci sarebbe motivo per dipingere.

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(Soir Bleu, 1914)

Dà forma all’introspezione, alla riflessione, al silenzio, alla solitudine. Una solitudine però non vuota, non triste, ma piena di significato, di attese.

Guardando i suoi quadri ci si immerge nel silenzio, col fiato sospeso, come se si stesse aspettando qualcosa o qualcuno, un evento, un dialogo, una parola. “Cosa succederà?” Una domanda senza risposta, se non la nostra, personalissima, frutto di quello che abbiamo dentro, nei nostri pensieri, nell’anima. Nei quadri di Hopper ognuno di  noi può trovare sé stesso, le proprie risposte oppure semplicemente perdersi in una calma silenziosa guardando nel vuoto senza alcuna fretta di guardare altrove, di guardare oltre.

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(Lighthouse hill, 1927)

Il tempo si ferma, i protagonisti del quadro siamo noi, almeno  per un po’.

Amo Edward Hopper…si capisce?

Buona domenica!

Arianna

Burns Night!

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Chi di noi non conosce “Auld Lang Syne” – in italiano “Walzer delle Candele”, famosa canzone scozzese spesso cantata la notte di Capodanno, la cui popolarità nel mondo è seconda solo a “Happy Birthday”? In molti sapranno che le parole sono state scritte dal poeta Robert Burns, il cui anniversario della nascita cade il 25 gennaio.

E ogni anno, il 25 gennaio, in Gran Bretagna e in particolare in Scozia, si celebra la Burns Night festeggiando con una cena, la Burns Supper. La tradizione di festeggiare in onore del poeta nasce nel lontano 1801 quando ad Alloway, luogo natale di Burns, si riunirono i suoi amici più stretti per ricordare il quinto anniversario della sua morte.

Da allora si iniziò a proporla ogni anno – in occasione però dell’anniversario della nascita di Robert Burns, il 25 gennaio appunto.

La tradizione vuole che ci si riunisca tutti a tavola e che venga recitato il Selkirk Grace:

Some hae meat and canna eat,
And some would eat that want it;
But we hae meat, and we can eat,
Sae let the Lord be thankit.

 

Portata principale della Burns Supper è l’immancabile Haggis – un tipo di pudding fatto con interiora di pecora, farina d’avena, cipolla e spezie, accompagnato con un contorno di rape e patate – presentato al suono delle cornamuse mentre il padrone di casa recita “Address to a haggis“. Tutti brindano all’haggis con il whisky e viene servita la cena.

 

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Dopo la cena si leggono le opere di Burns, si balla, si raccontano storie, si continua a brindare. Alla fine della serata, tutti si riuniscono e insieme cantano l’Auld Lang Syne, incrociando le braccia e prendendosi per mano al verso “perciò prendi la mia mano, amico fidato!”

Happy Burns night! 🙂

Arianna

 

 

 

Libri in metropolitana a Londra!

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Il movimento Books on the underground, creato nel 2012 da Hollie Fraser, nasconde libri nella metropolitana di Londra – circa 150 ogni settimana! – affinché fortunati e ignari viaggiatori li trovino, li leggano e li lascino di nuovo in circolazione all’interno delle stazioni, sulle panchine, nei vagoni della tube londinese.

(photos: http://www.bbc.com/)

Anche Emma Watson è stata una “fatina dei libri”, nascondendo circa un centinaio di copie del libro di Maya Angelou “Mom & Me & Mom”, di cui una accompagnata da una nota autografa.

Voi quale libro vorreste veder viaggiare sui treni della metro, su quali parole vorreste si posassero gli occhi di sconosciuti passanti? 🙂

Arianna

Una casa sull’albero.

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Sospesa fra terra e cielo e completamente circondata da alberi di ciliegio, questa casetta che sembra uscita da un libro di favole è opera dell’architetto Terunobu Fujimori per il Kiyoaru Shirakaba Museum a Hokuto, in Giappone ed è una “casa del tè”, costruita per godere dello spettacolo della fioritura dei ciliegi e celebrare la tradizionale cerimonia del tè.

Poggiata solidamente sul tronco di un cipresso e progettata per resistere a condizioni avverse e terremoti (molto frequenti in queste zone) in perfetto equilibrio con l’ambiente che la circonda, racchiude un’anima semplice, pulita e moderna, pur conservando la sua natura fiabesca ed effimera.

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I miei auguri per questo nuovo anno appena iniziato voglio farveli così, colorandoli di rosa come questi fiori di ciliegio!

Arianna

 

 

 

 

Il profumo della lentezza.

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Qual è il profumo della lentezza? Forse quello del caffè, quello del mare, quello del vento tiepido di primavera, di un Earl Grey bollente, delle pagine di un libro o forse semplicemente il profumo della lentezza è quello di tutte le cose che ci soffermiamo ad assaporare. Momenti, dettagli, cose apparentemente senza importanza.

Per la lumachina protagonista della storia di Luis Sepùlveda – Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza – la lentezza ha il profumo dei fiori gialli e viola del calicanto e del dente di leone, delle gocce di rugiada sui fili d’erba, delle foglie sui rami di faggio mosse dal vento. Per Memoria, la tartaruga sua compagna di viaggio, la lentezza ha il profumo delle foglie di lattuga e della polpa delle fragole.

La lumachina decide di intraprendere un viaggio per scoprire chi è e perché è cosi lenta, nonostante le sue compagne, abituate a condurre una vita lenta e silenziosa, senza porsi alcuna domanda, disapprovino. “Tutto ciò che hai visto, provato, amaro e dolce, pioggia e sole, freddo e notte, è dentro di te e pesa, ed essendo così piccola quel peso ti rende lenta” le dirà il gufo. “E a che mi serve essere così lenta?” “A questo non ho una risposta. Dovrai trovarla da sola”

E’ così che la lumachina comprenderà l’importanza della memoria, del coraggio e della ribellione. Perché decidere di camminare lentamente, di vivere il presente accorgendosi dei dettagli, scegliendo per cosa fermarsi, è ribellione, “una nuova forma di resistenza, in un mondo dove tutto è troppo veloce. E dove il potere più grande è quello di decidere che cosa fare del proprio tempo” dice Sepùlveda. “Io difendo il ritmo umano: il tempo preciso, né più né meno, che serve per fare le cose per bene. Per pensare, per riflettere, per non dimenticare chi siamo”.

La fine di questo viaggio? La libertà.

Arianna

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Hello september!

Questo post arriva in ritardo di un giorno, dicendola lunga sul mio rapporto con la fretta. Settembre è arrivato e per me che ho sempre considerato l’anno in maniera “accademica” più che solare, questo è il mese dei nuovi inizi, delle speranze, dei desideri.

E’ il mese che profuma di diario nuovo e di scuola, di grembiule appena stirato e di ciambella fritta.

Quest’anno settembre sarà il mese della ricerca di una casa nuova, più grande, che possa contenere finalmente i sogni di tutti e tre, e poi uno Smeg verde acqua e un bollitore per il caffè americano!

Quest’anno settembre avrà l’odore di disinfettante dell’ospedale dove opereranno mio papà.

Avrà il profumo dei caffè al volo con le amiche e quello della nostalgia per quell’amica speciale che è andata a vivere oltre le montagne, ma che a settembre ha promesso di tornare.

Quest’anno settembre sarà il mese del primo giorno di scuola materna, del nodo in gola e degli occhi lucidi del distacco, che fra qualche giorno smetteranno di essere solo un ricordo dolce di tanti anni fa racchiuso nel cuore e saranno tutti per lui, il mio nanetto quasi treenne.

Buon settembre e buon “anno accademico” a tutti voi!

Arianna

 

 

La festa delle stelle innamorate.

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(Photo: konachan.com)

La settima notte del settimo mese dell’anno non è una notte qualsiasi. In Giappone è la festa di Tanabata (七夕) – letteralmente “della settima notte”- la festa delle stelle innamorate, che si rifà ad un’antica e romantica leggenda di origine cinese, della quale esistono diverse versioni, e che si celebra solitamente il 7 luglio di ogni anno o, in alcune località, il 7 agosto (a seconda che ci si riferisca al calendario solare o lunare). Questa festa, molto diffusa in Cina, fu importata nel 755 in Giappone presso il palazzo imperiale di Kioto, diventando poi popolare nel periodo Edo (1603-1868).

Anticamente sulle sponde di Ama-no-gawa, il Fiume Celeste -la Via Lattea – viveva il sovrano di tutti gli dei e imperatore del Cielo, Tentei, la cui figlia Orihime (la stella Vega) passava le giornate a tessere e cucire stoffe e vestiti regali per le divinità. Lavorava di giorno e di notte e senza avere mai un attimo di sosta maneggiava con rapidità e destrezza il suo fuso e realizzava abiti sempre più belli e splendidi per poter vestire tutte le divinità.
Lavorava talmente tanto che non aveva neppure il tempo di pensare a sé stessa e ai propri interessi. Giunta all’età adulta però, il padre mosso da pietà, giacché alla figlia non era mai stato concesso altro che lavorare il fuso, le scelse un marito: era un giovane mandriano, di nome Hikoboshi ( la stella Altair) la cui attività consisteva nel far pascolare buoi e fare attraversare loro le sponde del Fiume Celeste. Era un grande lavoratore e anche lui non pensava ad altro che a svolgere il suo lavoro. Essendo matrimonio combinato, i due finirono per conoscersi solo il giorno delle nozze; poco male però perché non appena i due si conobbero finirono per innamorarsi follemente l’uno dell’altro. Furono talmente presi dal profondo sentimento che provavano l’un per l’altro che dimenticarono completamente i loro doveri, il loro lavoro e gli altri Dei. La loro unica ragione di vita sembrava essere diventata l’amore e la passione.
Così la mandria di buoi finì per essere abbandonata a sé stessa e agli dei cominciarono a mancare gli abiti fino ad ora confezionati da Orihime. A questo punto il sovrano degli dei non poté trattenere la rabbia e punì i due severamente: i due sposini che fino a quel momento erano diventati inseparabili, avrebbero dovuto vivere le loro vite separatamente. Per evitare che i due avrebbero potuto incontrarsi, rischiando così di abbandonare nuovamente i loro doveri, l’Imperatore del Cielo creò due sponde separate dal fiume Ama-no-gawa (Via Lattea) e rendendolo anche impetuoso e privo di ponti fece si che i due non potessero mai più incontrarsi. Il risultato non fu però quello sperato: il pastore sognando e pensando sempre alla sua innamorata non accudiva ugualmente le bestie e neppure la dolce fanciulla, pensando continuamente al suo amore cuciva più i vestiti agli dei. Il sovrano allora, disperato e mosso da pietà e commozione, con il consenso anche degli altri dei altrettanto commossi, emise tale sentenza: “Se deciderete di ritornare ad occuparvi delle vostre attività come un tempo rispettando i vostri doveri, rimarrete divisi dalle sponde del Fiume Celeste per un anno intero però, vi sarà consentito di potervi incontrare una volta soltanto nella notte del settimo giorno del settimo mese dell’anno.”
A queste parole, i due giovani innamorati, pensando all’idea di potersi incontrare di nuovo ripresero di buona lena a lavorare sodo con la speranza di potersi presto riabbracciare. Da quel momento in poi infatti, dopo un anno di lavoro e fatica i due ogni 7 luglio attraversano il Fiume Celeste e nel cielo stellato si incontrano.”

(Fonte: japancoolture.com)

Durante questa giornata le strade si riempiono di di  zen-washi , le tipiche lanterne di carta colorata, e tutti passeggiano vestiti con il tradizionale yukata, il kimono estivo. La tradizione più diffusa consiste nello scrivere desideri e preghiere su dei fogli di carta colorati (chiamati tanzaku) che simboleggiano i fili di seta intrecciati da Orihime, e appendere questi fogli su dei rami di bambù, adornati con altri ornamenti in carta come kimono, cestini, origami, reti da pesca e borsette, sistemandoli nei giardini , all’ingresso delle case e per le strade, perché questi si avverino.

Esiste anche una canzone che racconta la magia di questa notte:

 

“Frusciano le foglie del bambù

  ondeggiando appese alla grondaia;

Le venerabili stelle luccicano

come granelli di sabbia d’oro e argento;
Ho scritto un tanzaku
colorato di cinque colori;
Le venerabili stelle luccicano
e dal cielo ci guardano.”

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(foto: gurashii.com)

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(foto Pinterest)

Non ci resta che aspettare con il naso all’insù l’arrivo del 7 luglio.

Buona festa delle stelle innamorate!

Arianna

Wimbledon e fragole.

L’erba verde. Le fragole con la panna. I cappelli di paglia. I tennisti vestiti di bianco. La Pimm’s Cup. La pioggia. Il silenzio magico del Centre Court. L’ananas sul trofeo. E naturalmente la fila!

Dal 27 giugno al 10 luglio sui campi dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club di Church Road si gioca il torneo di Wimbledon, prestigioso e affascinante appuntamento del tennis internazionale, un universo fatto di sport, tradizioni e “british style” che si rinnova da 139 anni, dove quasi niente è lasciato al caso… pioggia a parte!

Succede così che l’erba – Perennial Ryegrass tagliata all’altezza di 8 mm e curata con meticolosa e religiosa dedizione d oltre 40 anni da Robert Twynam , il capo giardiniere – è così meravigliosa e perfetta da sembrare un fresco tappeto verde. “Io, Robert Twynam, responsabile dei campi di Wimbledon, immagino e considero ogni filo d’erba come fosse un individuo, con le sue esigenze, un suo destino, e soprattutto il diritto inalienabile di crescere su quel prato benedetto.“( John McPhee, Tennis, Adelphi, Milano 2013)

AELTC/Thomas Lovelock . 21 June 2016

 

(photo: www.wimbledon.com)

Che il falco Rufus, si preoccupa da oltre 15 anni di tener lontani piccioni e altri volatili dai campi, volteggiando nel cielo sopra l’All England Club, dalle 9 del mattino, ed è così popolare da avere un suo account su Twitter e Facebook, @RufusTheHawk .

Che le fragole, varietà Ensanta,  arrivano la mattina dalle fattorie del Kent, e si uniscono alla doppia panna – assolutamente non montata e non zuccherata! – per diventare il dessert inventato nel 1500 da uno chef alla corte di Enrico VIII.

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Che cappelli, bandana, magliette, pantaloncini, gonne, scarpe, perfino l’intimo, indossati sia in gara che  in allenamento dai tennisti devono essere “almost entirely white” e naturalmente “white does not include off white or cream.

Che anche gli spettatori hanno un loro dress code sobrio e curato.

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Che il Pimm’s è rigorosamente preparato come da tradizione con Pimm’s no.1, limonata inglese, fette di cetriolo, fragole, arancia e qualche foglia di menta.

Che a  giugno, in Inghilterra, il tempo è imprevedibile e la pioggia è una tradizione anche lei! Il Centre Court è l’unico campo coperto da un tetto scorrevole, ma negli altri campi le partite possono essere interrotte o continuare sotto la pioggia. Pochissime sono state le edizioni del torneo senza interruzioni per pioggia.

(Photo: www.wimbledon.com)

 

Che la queue – onnipresente in Inghilterra – qui a Wimbledon diventa tradizione, un sacrificio fatto in nome di un sogno. Zaini, tende, coperte, ore di attesa, tante lingue diverse e un solo obiettivo, accaparrarsi un Ground Pass e vivere tutto questo.

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(Photo (c) The Gracious Posse)

Che il grande tabellone, gli steward con la divisa del circolo, le fotografie storiche e le statue dei campioni del passato, le panchine in legno, i fiori, l’edera, il profumo di rose e di erba appena tagliata, la pioggia e i tramonti ramati fanno di Wimbledon un posto unico, pieno di storia e magia al tempo stesso.

Il silenzio, è quello che ti colpisce quando giochi sul centrale di Wimbledon. Fai rimbalzare la palla lentamente sul morbido tappeto erboso, la lanci in aria per servire, la colpisci e senti l’eco del colpo. E di ogni colpo successivo: clac, clac, clac, clac. L’erba tagliata con cura, la ricca storia dell’antico stadio, i giocatori vestiti di bianco, gli spettatori rispettosi, la venerabile tradizione, nessun cartellone pubblicitario in vista: tutti questi elementi ti proteggono dal mondo esterno. ( Rafael Nadal e John Carlin  – Rafa. La mia storia.)

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Che la presenza dell’ananas sul trofeo maschile ha origini misteriose, secondo alcuni sembra si rifaccia all’antica abitudine dei capitani delle navi inglesi che, di ritorno dalle Americhe, appendevano alla porta di casa un ananas per avvertire tutti che erano tornati sani e salvi dal lungo viaggio, in segno di ospitalità e benessere.

A Wimbledon sono molto legata, e non solo al torneo ma  al posto in sé. Ci ho vissuto per un po’ in passato, ho frequentato dei corsi lì, ho passeggiato per il Village e, ebbene sì, anche la sottoscritta ha fatto la Wimbledon Queue!

Arianna

 

 

 

 

Triumphs and laments.

 

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Sulla riva del Tevere, fra Ponte Sisto e Ponte Mazzini, per 550 metri i muraglioni del fiume fanno da tela all’opera dell’artista sudafricano William Kentridge, Triumphs and Laments, un fregio ottenuto attraverso l’idropulitura selettiva della patina biologica e di smog del travertino, ispirato al racconto visivo elicoidale della Colonna Traiana. “E’ come se la Colonna Traiana si fosse srotolata su un’unica striscia, che si estende per più di 500 metri.”. Circa 90 figure, fra personaggi storici e stelle del cinema, alte fino a 10 metri, formano un corteo che dispiegandosi come in una lunga pellicola, racconta la storia di Roma, i suoi trionfi e le sue sconfitte, mescolando scene storiche e scene personali che hanno colpito la fantasia dell’artista – dalla lupa di Romolo e Remo al bacio fra Anita Ekberg e Marcello Mastroianni, dalla peste del XIII secolo al bombardamento di San Lorenzo durante la seconda guerra mondiale, dallo straripamento del Tevere del 1936 alla morte di Remo, accostato all’immagine del corpo senza vita di Pasolini, dall’estasi di Santa Teresa agli sbarchi di Lampedusa.

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“La mia speranza è che, mentre le persone si troveranno a camminare lungo questi 500 metri, esse possano riconoscere immagini di una storia sia familiare ma anche reinterpretata. E questo rifletterà la maniera complessa nella quale la città si rappresenta… Cercando il senso della storia a partire dai suoi frammenti, troviamo un trionfo in una sconfitta e una sconfitta in un trionfo.”

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Nell’arco di 3/4 anni l’opera sparirà, e i muraglioni torneranno ad essere quelli di prima.

Da romana, non posso che accogliere iniziative come questa di Tevereterno e William Kentridge, con gioia e una punta di orgoglio, quell’orgoglio messo sempre più spesso da parte ormai da me e dai miei concittadini. Sotto la patina del tempo, dello sporco, dello smog, di tanta, troppa noncuranza, disordine e malgoverno, si cela il sogno senza tempo di una città che continua instancabile ad accogliere tutti con gentilezza e maestosità, fiera di una bellezza che noi romani per primi sembriamo aver dimenticato. Lei no, lei ignora lividi, ferite e brutture, lei continua a rassettarsi la veste consunta, a specchiarsi nel Tevere, a brillare al tramonto, a parlare attraverso le voci delle campane, dell’acqua che scorre nelle sue fontane e dai suoi “nasoni”, delle rondini che volano alte nel suo cielo. Lei ci sta sussurrando di non perdere la speranza.

Benvenuti nella mia città.

Arianna

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Foto di Tevereterno